Provocazioni fra le nuvole
Arte e fumetto: nuovi dialoghi italiani
Alle origini del dialogo contaminante che l’ arte contemporanea ha instaurato con l’universo linguistico dei fumetti viene spontaneo collocare la Pop-Art (con Warhol, Lichtenstein, Ramos), magari dimenticando il contributo, forse meno appariscente ma altrimenti fondamentale, recato dal milieu intellettuale francese di ascendenza surrealista nel secondo dopoguerra.
In Italia emerge ancora nei primi anni 60 del Novecento il nome pionieristico del Dino Buzzati pittore, e poi a seguire alcuni travasi mediatici di Guido Crepax che rivoluzionò il fumetto, ma con occhio ben attento alla dimensione artistica. E ancora c’è Lanfranco che in assonanza con il movimento internazionale del realismo fantastico (dove sogno, scienza, fantascienza, pittura e fumetto si fondono) percorreva strade non lontane da quelle di H.R.Giger e Philippe Druillet. A partire dagli anni ‘70, si fanno strada le intuizioni surreali e teriomorfe di Max Hamlet Sauvage, per incontrare progressivamente, camminando dagli anni ‘80 ai primi 2000, le provocazione di Bruno Vidoni e di Paolo Denaro, le irridenti pitture degli Ultra Pop, i popismi di Mark Kostabi, americano di nascita ma italiano d’adozione che, per questo, si ritrova in parete all’interno di una mostra che osserva la sola situazione italiana. Con le hand altered polaroid di Debora Pelatti e Lucio Valerio Pini entriamo definitivamente negli anni 2000, quando pure Marco Rostagno incontrastato protagonista (insieme a Crepax) dell’illustrazione yé-yé di quarant’anni prima, inizierà una interessante sperimentazione per portare i suoi vecchi fumetti ad una nuova dimensione pittorica. Tale sperimentazione si è purtroppo interrotta per la prematura scomparsa dell’autore.
Di tutto ciò la mostra Provocazioni fra le nuvole cerca di dare conto in estrema parziale sintesi attraverso una sezione introduttiva che, trascurando inevitabilmente per ragioni di spazio qualche autore che pure avrebbe meritato citazione, prepara il visitatore e lo conduce ad incontrare alcuni nuovi dialoghi che l’arte contemporanea italiana sta attuando con il fumetto, in questo primo decennio del nuovo secolo.
La mostra alla GAM di Cento si focalizza, dunque, sull’opera di cinque artisti di differente formazione ed età anagrafica, ma tutti accomunati dalla volontà di irridere, di giocare con l’arte, di divertire, di sorprendere, di provocare. Cinque autori “politicamente scorretti” come si conviene al miglior fumetto e all’arte più capace.
Piersandro Coelli prende foto, parole, fumetti, pezzi di suoi disegni e “sbatacchia” tutto insieme: l’esito è esilarante, pur anche stravagante e deflagrante: dietro una casualità solo apparente, che qualche critico vorrebbe ricondurre concettualmente al dada o alla poesia futurista, ma che in realtà appare non lontana da una certa poesia visiva, domina il sogno dei favolosi anni cinquanta e sessanta. Qui nelle opere di Coelli sembrano rinascere i grafismi che Endelmann immaginò per il film Yellow Submarine dei Beatles. Anche le lezioni di Benito Jacovitti e Dino Buzzati, seppur digerite sono ben lontane dall’essere state dimenticate.
Al pari di Coelli, Corrado Bonomi è un trickster inguaribile nel quale i geni del sessantotto, non quello della violenza politica ma quello artisticamente esaltante che sosteneva a rivoluzione sessuale e chiamava l’immaginazione al potere, non si sono mai assopiti.
Bonomi recupera una serie di manifesti e locandine di film a luci rosse degli anni settanta-ottanta (che farebbero la gioia di molti collezionisti) e le fa attraversare da straniati quanto noti animali umanizzati dei fumetti, dipinti direttamente sulle foto.
Si creano così situazioni ambiguamente esilaranti in cui foto e disegni interagiscono innestando imprevedibili quanto surreali doppi sensi
Con Patrizia Nuvolari il gioco di commistione linguistca fra pittura e fumetto si arricchisce della rivisitazione di generi quali l’horror e il grand guignol, ma conditi di una preziosità (e di una ironia ) tutta femminile. C’è nel sottofondo dei dipinti di Patrizia le lezioni del fumetto underground, del gruppo Valvoline e di David B., le animazioni cinematografiche macabre eppur poetiche di Tim Burton, ma alla fine il risultato è comunque qualcosa di nuovo e intrigante, in cui la creatività artistica non disdegna la feroce festosità macabra di Halloween.
Elisabetta Farina trasforma in un fumetto il mondo gelido e rarefatto della moda femminile. Bellezze algide, che rifanno il verso ai fumetti inglesi degli anni 60, indossano le griffe e i complementi più aggiornati: sandali con tacchi a stiletto, borse, gioielli di tendenza. Gli ori, le decorazioni metalliche, gli strass vengono sostituiti da texture di led luminosi e colorati. Attente solo al proprio apparire e orgogliose della propria congelata e congelante bellezza, le eroine dei dipinti elettrificati di Elisabetta Farina sono creature liminali, il cui più ambìto desiderio pare essere quella di potersi trasformare in una mai oscurabile insegna pubblicitaria. I sing the body electric, sembrano voler fumettare le mannequin di Elisabetta, volutamente e felicemente inconsapevoli di quanti prima di loro hanno inneggiato al corpo elettrico, da Walt Whitman, a Ray Bradbury ai Weather Report.
Se si trattasse di un film o di uno sceneggiato, e non già di una mostra, la presenza di Massimo Festi verrebbe definita un’amichevole partecipazione, una prestigiosa comparsata. Per questo giovane artista il fumetto non rappresenta ancora una ricerca organica, men che meno totalizzante. Siamo a livello di alcuni riusciti tentativi all’interno di una più vasta sperimentazione tecnica ascrivibile al concetto di pittura mediale. Ma i suoi Batman e Robin, omosessuali seppur con allusiva discrezione e la sua Cat Woman, che annuncia la fine della festa, sono davvero degni di nota: affascinanti quanto inclassificabili perché sembrano capaci di proiettarci in uno spazio tempo indefinito-indefinibile.
Scarica il Comunicato Stampa
In Italia emerge ancora nei primi anni 60 del Novecento il nome pionieristico del Dino Buzzati pittore, e poi a seguire alcuni travasi mediatici di Guido Crepax che rivoluzionò il fumetto, ma con occhio ben attento alla dimensione artistica. E ancora c’è Lanfranco che in assonanza con il movimento internazionale del realismo fantastico (dove sogno, scienza, fantascienza, pittura e fumetto si fondono) percorreva strade non lontane da quelle di H.R.Giger e Philippe Druillet. A partire dagli anni ‘70, si fanno strada le intuizioni surreali e teriomorfe di Max Hamlet Sauvage, per incontrare progressivamente, camminando dagli anni ‘80 ai primi 2000, le provocazione di Bruno Vidoni e di Paolo Denaro, le irridenti pitture degli Ultra Pop, i popismi di Mark Kostabi, americano di nascita ma italiano d’adozione che, per questo, si ritrova in parete all’interno di una mostra che osserva la sola situazione italiana. Con le hand altered polaroid di Debora Pelatti e Lucio Valerio Pini entriamo definitivamente negli anni 2000, quando pure Marco Rostagno incontrastato protagonista (insieme a Crepax) dell’illustrazione yé-yé di quarant’anni prima, inizierà una interessante sperimentazione per portare i suoi vecchi fumetti ad una nuova dimensione pittorica. Tale sperimentazione si è purtroppo interrotta per la prematura scomparsa dell’autore.
Di tutto ciò la mostra Provocazioni fra le nuvole cerca di dare conto in estrema parziale sintesi attraverso una sezione introduttiva che, trascurando inevitabilmente per ragioni di spazio qualche autore che pure avrebbe meritato citazione, prepara il visitatore e lo conduce ad incontrare alcuni nuovi dialoghi che l’arte contemporanea italiana sta attuando con il fumetto, in questo primo decennio del nuovo secolo.
La mostra alla GAM di Cento si focalizza, dunque, sull’opera di cinque artisti di differente formazione ed età anagrafica, ma tutti accomunati dalla volontà di irridere, di giocare con l’arte, di divertire, di sorprendere, di provocare. Cinque autori “politicamente scorretti” come si conviene al miglior fumetto e all’arte più capace.
Piersandro Coelli prende foto, parole, fumetti, pezzi di suoi disegni e “sbatacchia” tutto insieme: l’esito è esilarante, pur anche stravagante e deflagrante: dietro una casualità solo apparente, che qualche critico vorrebbe ricondurre concettualmente al dada o alla poesia futurista, ma che in realtà appare non lontana da una certa poesia visiva, domina il sogno dei favolosi anni cinquanta e sessanta. Qui nelle opere di Coelli sembrano rinascere i grafismi che Endelmann immaginò per il film Yellow Submarine dei Beatles. Anche le lezioni di Benito Jacovitti e Dino Buzzati, seppur digerite sono ben lontane dall’essere state dimenticate.
Al pari di Coelli, Corrado Bonomi è un trickster inguaribile nel quale i geni del sessantotto, non quello della violenza politica ma quello artisticamente esaltante che sosteneva a rivoluzione sessuale e chiamava l’immaginazione al potere, non si sono mai assopiti.
Bonomi recupera una serie di manifesti e locandine di film a luci rosse degli anni settanta-ottanta (che farebbero la gioia di molti collezionisti) e le fa attraversare da straniati quanto noti animali umanizzati dei fumetti, dipinti direttamente sulle foto.
Si creano così situazioni ambiguamente esilaranti in cui foto e disegni interagiscono innestando imprevedibili quanto surreali doppi sensi
Con Patrizia Nuvolari il gioco di commistione linguistca fra pittura e fumetto si arricchisce della rivisitazione di generi quali l’horror e il grand guignol, ma conditi di una preziosità (e di una ironia ) tutta femminile. C’è nel sottofondo dei dipinti di Patrizia le lezioni del fumetto underground, del gruppo Valvoline e di David B., le animazioni cinematografiche macabre eppur poetiche di Tim Burton, ma alla fine il risultato è comunque qualcosa di nuovo e intrigante, in cui la creatività artistica non disdegna la feroce festosità macabra di Halloween.
Elisabetta Farina trasforma in un fumetto il mondo gelido e rarefatto della moda femminile. Bellezze algide, che rifanno il verso ai fumetti inglesi degli anni 60, indossano le griffe e i complementi più aggiornati: sandali con tacchi a stiletto, borse, gioielli di tendenza. Gli ori, le decorazioni metalliche, gli strass vengono sostituiti da texture di led luminosi e colorati. Attente solo al proprio apparire e orgogliose della propria congelata e congelante bellezza, le eroine dei dipinti elettrificati di Elisabetta Farina sono creature liminali, il cui più ambìto desiderio pare essere quella di potersi trasformare in una mai oscurabile insegna pubblicitaria. I sing the body electric, sembrano voler fumettare le mannequin di Elisabetta, volutamente e felicemente inconsapevoli di quanti prima di loro hanno inneggiato al corpo elettrico, da Walt Whitman, a Ray Bradbury ai Weather Report.
Se si trattasse di un film o di uno sceneggiato, e non già di una mostra, la presenza di Massimo Festi verrebbe definita un’amichevole partecipazione, una prestigiosa comparsata. Per questo giovane artista il fumetto non rappresenta ancora una ricerca organica, men che meno totalizzante. Siamo a livello di alcuni riusciti tentativi all’interno di una più vasta sperimentazione tecnica ascrivibile al concetto di pittura mediale. Ma i suoi Batman e Robin, omosessuali seppur con allusiva discrezione e la sua Cat Woman, che annuncia la fine della festa, sono davvero degni di nota: affascinanti quanto inclassificabili perché sembrano capaci di proiettarci in uno spazio tempo indefinito-indefinibile.
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