di Vincenzo Antonelli

Da mesi giornali, TV, feste di partito, incontri con amici (magari in spiaggia o in piazza ad Avola), siti internet sono occupati dal dibattito sulla costruzione del partito democratico.
Tuttavia, sul Avola blog, un blog nato dall’idea “di un gruppo di persone, accomunate da un forte legame con il loro paese e da ideali democratici di orientamento politico di centro-sinistra”, non appaiono pensieri, riflessioni, insulti, al riguardo.
Quanti leggono e scrivono, salvo qualche accenno alle “trasversali” e inspiegabili” alleanze politiche avolesi, sono più attratti dagli inciuci (http://it.wikipedia.org/wiki/Inciucio) del palazzo di città. Sul partito democratico silenzio!
Ahimè, questo silenzio può nascondere questa volta inciuci di partito, o se volete, di partiti.
Altrettanto accade anche a livello nazionale. Si parla più di ciò che ha fatto o non ha fatto il governo (ad Avola le giunte di sinistra o di destra), o di ciò che dovrebbe fare un nuovo governo, ma non di quale partito democratico si vuole costruire. Si parla di ciò che vorrebbe fare il nuovo segretario del partito democratico come futuro premier e non delle modalità di costruzione e della “natura” del nuovo partito. Si urla: “Meno tasse, più sicurezza, etc..!” E quando si parla di partito democratico ci si limita, semplicemente, ad aggettivare il PD come “nuovo”, “aperto”, “progressista”, “liberale” etc..
Invece, ritengo che bisogna discutere su come si vuole costruire il nuovo partito, quale deve essere la sua natura, la sua struttura, la sua democrazia interna, il suo rapporto con la società, con le forze economiche, con le istituzioni morali e religiose.
Quanti saranno eletti il 14 ottobre non solo dovranno eleggere organi di partito, ma dovranno discutere ed approvare uno statuto: la carta di identità del nuovo partito. E certamente nel “patto fondativo” non ci sarà scritto: “meno tasse, più sicurezza”!
Non nascondo che la costruzione del partito democratico presenta aspetti negativi e positivi.
Negativi: la scelta del candidato segretario tanto regionale quanto nazionale è mediata dal voto ad una lista bloccata; ci vogliono 5 euro per votare; alcune candidature sono state preconfezionate nelle segreterie dei partiti locali e nazionali (forse a seguito di preventiva spartizione di posti di comando?); le modalità di costruzione del partito sembrano più la fusione tra due vecchi partiti-apparati-patrimoni che la nascita di un nuovo soggetto politico. Mi fermo qui perché sicuramente altri vorranno allungare la lista.
Positivi: le elezioni del 14 ottobre potrebbero per molti, soprattutto per i più giovani, rappresentare un momento “collettivo” di partecipazione politica (non è una iscrizione personale, individuale, solitaria ad un partito per far carriera); una partecipazione che può mettere in crisi la natura e la struttura burocratica, ereditata dal passato, che si vuole imprimere al nuovo partito. Mi fermo qui perché sicuramente altri vorranno allungare la lista.
Credo che il PD debba costituire un momento (movimento) di novità o se vogliamo di rottura. Il PD deve superare la natura ideologica del partito tradizionale, cifra che più di ogni altra ha caratterizzato il sistema politico italiano.
La costruzione del PD deve “rompere” il sistema politico tradizionale, e conformarlo ai sistemi politici stranieri, polarizzati sul confronto tra riformisti e conservatori, e nei quali l’appartenenza o l’identità è misurata alla capacità di fornire un progetto politico capace di riformare o meno la società.
La costruzione del PD deve contribuire a superare un approccio meramente ideologico alla politica; deve spingere verso la sottoquotazione della ideologia e allo stesso tempo puntare alla valorizzazione della capacità di individuare concrete soluzioni per i nuovi bisogni della collettività.
Molteplici sono i “nodi” che il PD dovrà incontrare e superare durante il cammino sul quale oramai è avviato.
Ciascuno ha la sua storia, ma è una storia non preconfezionata, che si è edificata nella relazione con gli altri. La nostra è una identità “relazionale”, che possiamo cogliere nel confronto e nello scambio con gli altri. Il nostro vissuto ci insegna che le identità non sono statiche: come un albero, ognuno ha le proprie radici, ben solide in terra, ma i rami, e le foglie (e i fiori) sono il portato delle condizioni mutevoli del tempo, tendono naturalmente a modificarsi. Questo vale per i singoli e per le strutture, ed è assurdo attaccarsi alle radici di un partito quando gli stessi partiti fondatori del Pd sono figli di mutamenti storici che hanno modificato identità precedenti: dal Ppi alla Democrazia cristiana al nuovo Partito popolare, fino alla Margherita; dalla scissione di Livorno, al Pci, al Pds, ai Ds.
Il PD deve assumere il pluralismo al suo interno e non solo nei rapporti con l’esterno. È vero che la costruzione del PD contribuisce a semplificare il panorama politico, riducendo di fatto la molteplicità delle formazioni politiche. Ma ciò non può risolversi in un inganno, negando la medesima natura plurale al suo interno. Non si può predicare la semplificazione (esterna) a discapito del pluralismo. Bisogna allora correre il rischio del pluralismo: la necessità di confrontarsi con l’altro, di mettersi in discussione. Se il pluralismo è il tratto che deve caratterizzare il PD allora non possiamo condividere la tentazione di assecondare identità che puntano a diventare prevalenti. Non lo accettiamo noi, ma soprattutto non lo accetterebbero coloro che in quei due partiti non hanno mai militato, e che avvertono il Pd come la nuova casa comune dei riformisti.
Il PD deve contribuire a rilanciare una cultura della responsabilità, dei propri doveri. Il PD deve impegnarsi nell’individuazione e nella costruzione del bene comune, ovvero di quell’insieme di condizioni che consentono al singolo quanto al gruppo di vivere e di vivere bene. Il PD deve dare una risposta a quella visione che affonda le radici in una tradizione culturale tutta incentrata sull’individuo e sui suoi bisogni. Alla rivendicazione di diritti deve accompagnarsi l’adempimento dei doveri. Il PD è chiamato a proporre una visione rinnovata del bene comune, deve porre al centro della sua attività programmatica un’etica della responsabilità, deve avere la capacità di prospettare un “futuro comune”.
La laicità dello Stato è fuori discussione, e fuori deve rimanere dal dibattito politico sulla costruzione del Pd. Attiene alle coscienze l’adesione o meno ai principi religiosi, e chi si impegna in politica deve saper discernere le risposte da dare a Cesare da quelle richieste da Dio.
Ma la distinzione non dovrà e non potrà passare per le vecchie appartenenze di partito. Vi sono cattolici e sensibilità religiose in ognuna delle (ex) componenti del Pd, e le differenze saranno trasversali all’interno del Pd, come lo saranno anche all’interno dell’intero panorama delle forze politiche. Su temi eticamente sensibili schieramenti diversi da quelli precostituiti si sono sempre avuti, e il Pd non potrà sfuggire a questo dato. Si tratterà di chiarire subito le linee discriminanti della base programmatica, lasciando libertà di coscienza ai singoli – e non ai gruppi organizzati (siano essi teodem o laicisti) – sulle questioni che coinvolgono la sfera etica e religiosa.
In conclusione, ritengo che il PD debba permettere di stare insieme senza, tuttavia, dimenticare la dimensione plurale e le identità. Questo risultato può essere raggiunto se lo si costruisce come un “partito del progetto”. Non mera aggregazione di forze politiche, di esperienze partitiche, ma luogo ideale e reale in cui addivenire ad una progettualità comune. Nel progetto politico comune, infatti, le diverse realtà si fondono insieme, e attenuano i propri caratteri identitari.
Quelli che ho espresso solo sono alcuni dei pensieri, dei motivi per cui avrei voluto che non si parlasse di “partito” democratico, ma della costruzione dei “democratici”. Ma a tutt’oggi bisogna confrontarsi con la nascita del “partito”.

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